Chi soffre di malattia di Parkinson non deve seguire schemi alimentari specifici, ma fare attenzione a limitare l’assunzione di proteine animali.
Una dieta sana, bilanciata, commisurata al fabbisogno calorico e nutrizionale individuale è l’indispensabile premessa per il benessere di chiunque a qualunque età, ma diventa ancora più importante in presenza di malattie croniche che impongono all’organismo richieste specifiche.
Nel caso della malattia di Parkinson, l’alimentazione diventa un vero e proprio componente della terapia e saperla strutturare in modo opportuno può contribuire a migliorare l’efficacia dei trattamenti farmacologici e a ridurre alcuni fastidi.
Proteine e farmaci in competizione
Le proteine, animali e vegetali, sono un macronutriente prezioso perché gli aminoacidi che contengono sono necessari per il rinnovamento di cellule e tessuti, per la produzione degli ormoni e per il mantenimento della massa muscolare. In generale, per una persona adulta la raccomandazione è di assumerne circa 1 g per kg di peso corporeo al giorno, quindi circa 50-70 grammi.
Chi soffre di malattia di Parkinson, tuttavia, deve mangiare cibi proteici con una certa cautela perché alcuni degli aminoacidi che contengono possono interferire con l’assorbimento intestinale e l’azione terapeutica della levodopa, principio attivo irrinunciabile del trattamento anti-Parkinson.
A creare problemi sono, in particolare, gli aminoacidi “aromatici” (così definiti in quanto caratterizzati dalla presenza di un componente a forma di anello nella loro molecola), ossia fenilalanina, isoleucina, leucina, tirosina, triptofano e valina.
Questi aminoacidi sono contenuti principalmente nelle proteine di origine animale, ossia nella carni rosse e bianche, nel pesce, nelle uova e nei latticini: tutti alimenti che andranno, quindi, consumati in piccole quantità e sostituiti il più possibile con fonti proteiche vegetali (in particolare, legumi come piselli, lenticchie e soia), comunque da assumere con moderazione.
Va precisato che, a eccezione della tirosina, tutti gli aminoacidi aromatici citati sono “essenziali”, nel senso che l’organismo ne ha bisogno, ma non è in grado di produrli autonomamente a partire da altri composti: anche in presenza di malattia di Parkinson, quindi, la loro assunzione quotidiana attraverso l’alimentazione deve essere assicurata, seppur a dosi ridotte e preferibilmente concentrandola nel pasto serale.
In generale, per una persona con Parkinson è ritenuta adeguata una dieta composta dal 12-15% di proteine, 25-30% di grassi (preferibilmente oli vegetali), 55-60% circa di carboidrati (pane, pasta, riso, cereali, biscotti ecc.). Oltre che alla qualità dei nutrienti assunti, è importante fare attenzione alla quantità, nell’ottica di evitare situazioni sia di sovrappeso/obesità sia di sottopeso.
Sovrappeso e obesità, favoriti dalla tendenziale minore possibilità di esercizio fisico della persona con malattia di Parkinson, vanno evitati perché aumentano il rischio cardiovascolare e rendono ancora più difficile il movimento e il mantenimento dell’autonomia. Il sottopeso, invece, è dannoso perché espone a un elevato rischio di deperimento organico e di perdita di massa muscolare e ossea, particolarmente sfavorevoli in età avanzata.
Fibre: meglio quelle della frutta
Un problema tipico della malattia di Parkinson riguarda la stitichezza, dovuta in parte alla patologia in sé e in parte alla tendenziale sedentarietà che ne consegue. Per contrastarla, la strategia migliore è puntare sull’assunzione di liquidi in abbondanza (acqua, brodi vegetali, tisane, succhi di frutta naturali ecc.), fino a 1,5-2 litri al giorno, e di fibre vegetali, attraverso il consumo regolare di 4-6 porzioni di frutta e verdura al giorno.
Idealmente, la frutta dovrebbe essere consumata a colazione, negli spuntini di metà mattina e al pomeriggio e una porzione di verdura cotta o cruda (secondo le preferenze e le possibilità di masticazione/deglutizione) dovrebbe sempre essere prevista sia a pranzo sia a cena.
Va, invece, il più possibile evitato il ricorso ai lassativi, che interferiscono con l’assorbimento intestinale della levodopa e possono creare problemi negli anziani, particolarmente propensi e sensibili alla disidratazione e agli squilibri idroelettrolitici.
Tra le bevande, è possibile inserire anche il tè (poco o per nulla zuccherato) e 1-2 caffè al giorno; chi è abituato a bere vino o birra può continuare a farlo anche dopo la diagnosi di malattia di Parkinson, ma senza eccedere, idealmente limitandosi a 1-2 bicchieri al giorno, durante i pasti.
Un altro utile accorgimento dietetico riguarda la consistenza dei cibi. Soprattutto nelle fasi più avanzate della malattia di Parkinson deglutire correttamente può diventare un problema. Per rendere l’operazione più semplice ed evitare fastidiosi “bocconi di traverso” è consigliabile scegliere cibi morbidi e umidi, facili da masticare e da ingerire, e riservare ai pasti il tempo e la calma necessari.