Che cos’è
Con l’espressione “intolleranza al lattosio” ci si riferisce a una sindrome gastrointestinale scatenata dall’ingestione di latte (e in una certa misura anche dei suoi derivati) e dovuta all’incapacità di digerire lo zucchero in esso presente, il lattosio appunto, che come tale non può essere utilizzato dall’organismo.
Tale incapacità deriva dalla mancanza o più spesso dal ridotto funzionamento della lattasi, un enzima prodotto dalle cellule dell’intestino tenue e deputato specificatamente alla conversione del lattosio nei due zuccheri più semplici che lo compongono (glucosio e galattosio), assorbibili a livello intestinale.
Che cosa non è
L’intolleranza al lattosio non è un’allergia: alla base dei suoi sintomi non sussistono i meccanismi immunitari caratteristici delle risposte allergiche. Nel caso specifico del latte, inoltre, le vere reazioni allergiche sono dirette alle proteine (e non agli zuccheri) in esso presenti.
L’intolleranza al lattosio non è una vera e propria patologia: al contrario, quando si manifesta dopo l’infanzia rappresenta in realtà una condizione fisiologica, legata allo sviluppo, che si verifica in tutti i mammiferi, nella cui alimentazione di norma il latte non è più presente dopo lo svezzamento e quindi l’attività della lattasi subisce una progressiva riduzione, geneticamente programmata.
Nella specie umana, che nel corso della sua evoluzione ha introdotto l’abitudine di consumare in tutti i periodi della vita il latte (quello degli animali allevati), è presente una forma di persistenza della lattasi, legata a una mutazione genetica, ma la sua diffusione nella popolazione mondiale è estremamente variabile e l’intolleranza al lattosio in età adulta resta la condizione più comune.
La prevalenza dell’intolleranza al lattosio varia dalle percentuali molto basse dei paesi del Nord Europa, dove riguarda meno del 10% della popolazione, fino a quelle altissime di molti paesi asiatici e africani, dove oltre l’80% delle persone sono intolleranti. In Italia, secondo le stime, il problema interessa dal 40 al 60% della popolazione.
Cause
La carenza enzimatica all’origine dell’intolleranza al lattosio può originare da cause diverse e in diversi momenti della vita.
La fisiologica riduzione dell’efficienza della lattasi dopo l’infanzia in assenza della mutazione genetica che la mantiene attiva (ipolattasia primaria) è la causa di gran lunga più comune (presente in almeno il 60% della popolazione mondiale).
Essa determina una forma di intolleranza al lattosio che è caratterizzata da un’estrema variabilità individuale rispetto sia al livello di attività enzimatica residua sia all’entità delle relative manifestazioni cliniche, è passibile di cambiamenti nel corso della vita a seconda dello stato fisico (per esempio con la gravidanza) ed è anche, entro certi limiti, sensibile al grado di esposizione al lattosio.
La totale assenza dell’enzima lattasi dovuta a un difetto genetico (alattasia primaria congenita) è la causa più rara, determina una completa incapacità di digerire il lattosio che si manifesta già alla nascita.
L’alterazione della mucosa intestinale per patologie intercorrenti (enteriti acute, malattie infiammatorie croniche, ecc) può essere causa, a qualsiasi età, di una carenza transitoria di lattasi (ipolattasia secondaria), che può regredire con la guarigione o il miglioramento della malattia di base.
Sintomi
I disturbi provocati dalla ipolattasia/alattasia sono legati alla permanenza nell’intestino del lattosio non digerito: a livello del colon il lattosio viene in parte metabolizzato dai batteri della flora intestinale con produzione di gas (idrogeno, anidride carbonica, metano) e di composti acidi, che insieme con il lattosio non trasformato tendono a richiamare acqua nel lume intestinale.
I sintomi dovuti a tali fenomeni sono tuttavia piuttosto aspecifici: sensazione di gonfiore addominale, meteorismo, dolori crampiformi, diarrea.
L’aspetto più significativo è l’associazione temporale tra l’assunzione di lattosio e la comparsa dei sintomi (che avviene entro poche ore).
Diagnosi
Un’intolleranza può essere ragionevolmente sospettata sulla base della concomitanza tra il consumo di alimenti che contengono lattosio e l’esordio dei sintomi oppure dell’eventuale miglioramento ottenuto con l’eliminazione di tali alimenti dalla dieta.
Tuttavia, per confermare l’ipotesi si può ricorrere ad alcuni accertamenti diagnostici.
Quello maggiormente usato e più affidabile è il breath test per idrogeno e/o metano (i gas derivanti dalla fermentazione dei batteri colici) che rileva l’aumento dei gas espirati dopo assunzione di lattosio.
Nei bambini più piccoli, che hanno difficoltà a eseguire correttamente il test del respiro, si utilizza talvolta la misurazione del pH delle feci, che in caso di ipo/alattasia è più basso (<5,5) per la presenza delle sostanze acide prodotte dai batteri intestinali.
Raramente, dato che si tratta di un esame più invasivo, viene effettuata la biopsia della mucosa intestinale per la ricerca dell’enzima.
Trattamento
Il provvedimento più efficace consiste sicuramente nell’eliminazione delle sostanze contenenti lattosio dalla dieta.
Nel perseguirla occorre innanzitutto individuare la propria soglia individuale rispetto alla dose di lattosio tollerata e poi tenere conto del fatto che non tutti i derivati del latte contengono lattosio alla medesima concentrazione (nello yogurth e nei formaggi stagionati, per esempio, è presente in quantità molto inferiori), che il lattosio viene invece aggiunto nella preparazione di molti cibi non caseari (insaccati, salse, prodotti da forno, dolciumi, ecc) e che molti farmaci e integratori lo contemplano tra gli eccipienti.
Qualora l’abolizione del consumo di lattosio non sia fattibile si può ricorrere a sostituti enzimatici da assumere circa un’ora prima dell’ingestione di sostanze che lo contengono.
In alcuni casi, soprattutto nelle forme secondarie passibili di guarigione, è possibile tentare, parallelamente alla risoluzione della malattia di base, una graduale reintroduzione del lattosio.