- Le fasi della malattia
- Colpisce le articolazioni…
- ... e non solo
- La terapia dell'artrite reumatoide
- Dagli antinfiammatori ai Dmard
- I farmaci biologici
- La fisioterapia aiuta
Dolore, bruciore, gonfiore, rigidità articolare sono i sintomi più tipici dell’artrite reumatoide. Vediamo come trattarla.
L’artrite reumatoide, malattia infiammatoria su base autoimmunitaria, affligge circa mezzo milione di italiani.
Tra questi, molti sono ancora giovani (il picco d’insorgenza è tra i 35 e i 50 anni), con un impatto fortemente negativo non soltanto sulla qualità di vita individuale e familiare, ma anche sul piano socioeconomico.
I sintomi più frequenti sono:
- dolore
- rigidità articolare
- bruciore
- gonfiore.
Tuttavia, i casi noti rappresentano soltanto la punta dell’iceberg perché, non di rado, l’artrite reumatoide insorge senza dare segnali evidenti.
Ma anche quando questi sono presenti e riconoscibili fin dall’esordio vengono ancora troppo spesso trascurati o sopportati a lungo da chi ne soffre, che tende a ritenerli un fastidio banale o un disagio inevitabilmente associato all’invecchiamento.
Niente di più sbagliato: rimandare diagnosi e terapia significa non soltanto subire un dolore inutile ed evitabile, ma anche precludersi la possibilità di smorzare sul nascere l’infiammazione articolare e prevenire il danno permanente che inevitabilmente ne consegue.
Le fasi della malattia
Non è facile riconoscerla immediatamente: l’artrite reumatoide può in effetti comparire in modo acuto, con un’infiammazione dalle caratteristiche ben definite a carico di diverse articolazioni (in particolare, quelle di mani, polsi, piedi e ginocchia).
Ma può anche iniziare in maniera subdola, con sintomi generalizzati e poco specifici, come febbre non troppo elevata, malessere e stanchezza, a cui si aggiungono in breve anche dolore, gonfiore e rigidità articolare.
In entrambi i casi la malattia evolve progressivamente verso un danno articolare irreversibile e, in assenza di trattamento, può portare a una significativa invalidità nell’arco di pochi anni.
Colpisce le articolazioni…
L’infiammazione associata alla malattia non è costante, ma ha un tipico andamento a “pousses”, ovvero caratterizzato dall’alternanza di fasi di riacutizzazione spontanea e di remissione, sostanzialmente imprevedibili e per ora inspiegabili. Il danno articolare, invece, è progressivo e si accumula nel tempo.
Dopo alcuni anni dall’esordio, il gonfiore transitorio legato alle fasi infiammatorie cede il posto a deformazioni evidenti e permanenti: le dita delle mani assumono una forma caratteristica, detta “a collo di cigno” e deviano esternamente “a colpo di vento”.
Ai polsi possono comparire cisti, che corrispondono a rigonfiamenti pieni di liquido della membrana sinoviale che riveste le articolazioni.
Anche le caviglie e i piedi vanno incontro ad alterazioni (come piede piatto e deviazione “a colpo di vento” delle dita) che possono addirittura impedire di camminare normalmente.
... e non solo
In una minoranza di casi si osservano anche manifestazioni extra-articolari, a carico di altri organi o apparati.
Ecco alcuni esempi.
Localizzazione | Disturbi |
---|---|
Occhi |
Minore lacrimazione, che porta allo sviluppo della sindrome da “occhio secco” Infiammazione della sclera (la parte bianca del bulbo oculare) |
Cute che riveste i gomiti e le mani | Comparsa di “noduli reumatoidi” (ispessimenti di dimensioni variabili dati dall’accumulo localizzato di cellule infiammatorie), la cui presenza segnala una forma di artrite particolarmente aggressiva e con prognosi sfavorevole |
Polmoni |
Comparsa di “noduli reumatoidi” Fibrosi polmonare Insufficienza respiratoria |
Vasi sanguigni che irrorano le estremità delle dita |
Vasculite Formazione di piccole ulcere, può promuovere l’insorgenza di patologie |
A eccezione dei danni articolari eventualmente già presenti, tutte le manifestazioni dell’artrite reumatoide, in genere, si attenuano grazie a una terapia adeguata.
La terapia dell'artrite reumatoide
Fino a quando non è stata ben chiara la gravità della malattia e le ripercussioni che poteva avere sull’organismo nella sua totalità, la terapia dell’artrite reumatoide si fondava su un approccio “a piramide” che riservava l’uso dei farmaci più forti alle fasi più avanzate della malattia, nell’intento di evitare ai pazienti gli effetti collaterali a essi associati.
Si partiva, dunque, con farmaci antinfiammatori non steroidei (Fans) e cortisone, passando a principi dall’attività più marcata e specifica soltanto in un secondo tempo.
Pur continuando a prescrivere in prima battuta i Fans alla maggioranza dei pazienti, come raccomandato da tutte le Linee guida di trattamento, nazionali e internazionali, oggi i medici adottano una strategia diversa.
L’esperienza clinica ha dimostrato che per prevenire evoluzioni troppo rapide della malattia è fondamentale che la terapia specifica con farmaci capaci di contrastare il danno articolare sia intrapresa precocemente.
Dagli antinfiammatori ai Dmard
Quindi, non appena i Fans danno segni di una riduzione d’attività e nelle forme di artrite molto attive fin dall’inizio, si passa ai Dmard (Disease modifying anti-rheumatic drugs), come per esempio il metotrexato, la lefunomide, la sulfasalazina. Questi farmaci, cosiddetti di fondo, sono in grado di agire sui meccanismi alla base della malattia modificandone l’andamento nel tempo.
Purtroppo, questi farmaci presentano diversi effetti collaterali soprattutto a livello epatico. Va detto, però, che si tratta di reazioni note che possono essere gestite con il proprio medico curante, all’interno di un piano terapeutico personalizzato.
Sempre in considerazione delle possibili reazioni sfavorevoli, fino ad alcuni anni fa si riteneva di poter usare soltanto un principio attivo per volta. In realtà, si è dimostrato che in molti casi è più vantaggioso somministrare farmaci diversi in combinazione poiché l’efficacia aumenta, mentre gli effetti indesiderati restano sostanzialmente gli stessi.
I farmaci biologici
Quando neanche i Dmard sono in grado di offrire un controllo adeguato dei sintomi e della progressione della malattia si può passare ai farmaci biologici, così definiti perché costituiti da proteine che interagiscono in modo selettivo con elementi del sistema immunitario che sostengono l’infiammazione articolare.
Sono sostanze come le citochine (in particolare, Tnf o interleuchina-1) o cellule come i linfociti T. Si tratta perlopiù di anticorpi monoclonali progettati in laboratorio che, nel corso dell’ultimo decennio, hanno rappresentato un vero e proprio punto di svolta nel trattamento dell’artrite reumatoide.
Rispetto ai farmaci di fondo tradizionali, quelli biologici sono meglio tollerati, non provocando nausea né malessere, ma possono comunque avere effetti collaterali di tipo diverso. In particolare, aumentano il rischio di infezioni.
Somministrati da soli hanno un’efficacia paragonabile ai Dmard, mentre associati a questi ultimi consentono di migliorare in modo significativo segni e sintomi della malattia e, soprattutto, di frenare la progressione del danno articolare.
La fisioterapia aiuta
Fermo restando il ruolo chiave e insostituibile dei farmaci, nell’ambito del trattamento dell’artrite reumatoide va sottolineata anche l’importanza di imparare a conoscere e gestire la malattia nel quotidiano. Innanzitutto, ricordando che la rigidità e il dolore non devono scoraggiare il movimento.
Nelle fasi di remissione le articolazioni devono continuare a essere utilizzate il più possibile, pur senza sottoporle a sforzi eccessivi. Assecondare l’immobilità determinata dalla malattia è controproducente perché peggiora la rigidità articolare e indebolisce i muscoli che devono sostenere il movimento, riducendo notevolmente la possibilità di essere autonomi e condurre una vita normale.
Per sbloccare le articolazioni e imparare gesti alternativi ci si può rivolgere a fisioterapisti esperti e programmare piani di rieducazione funzionale.
Un altro aspetto importante della terapia riguarda i controlli periodici dal reumatologo, che andrebbero effettuati ogni 3-4 mesi. Le evidenze cliniche dimostrano che chi viene costantemente seguito riesce a ottenere risultati migliori perché è più incentivato ad aderire al trattamento che, inoltre, può essere calibrato e definito con maggior precisione.