L’aumentato consumo di cibi crudi e l’abitudine di viaggiare in zone endemiche fanno sì che l’epatite A si continui a diffondere ancora oggi, anche in Italia.
L'epatite A è un'infezione epatica acuta, la cui eziopatogenesi è da ricondursi al virus HAV, un virus a RNA della famiglia dei Picornaviridae, capace di compromettere le funzioni del fegato aggredendo le sue cellule.
Come si contrae
L’epatite A si contrae per via oro-fecale, ingerendo acqua o cibo contaminati da feci infette dal virus, oppure venendo a contatto con persone contagiate.
Nei Paesi in cui le condizioni igienico-sanitarie sono ancora oggi scarse, l’epatite A si trasmette purtroppo molto rapidamente soprattutto tra i bambini, nei quali tra l’altro la malattia è spesso asintomatica. Una volta venuti a contatto con la malattia, si sviluppa immunità per tutta la vita.
Nei Paesi sviluppati, invece, è diventato molto meno frequente il contagio sia tra i bambini sia tra gli adulti, grazie alle migliori condizioni igienico-sanitarie.
I fattori di rischio più comuni restano comunque il consumo di cibi crudi, bere acqua contaminata, effettuare viaggi in zone a rischio, lavorare in scuole materne o in unità di terapia intensiva neonatale.
I sintomi
I sintomi dell’epatite sono molto simili a quelli influenzali, e si manifestano, in maniera improvvisa, da 2 a 6 settimane dal contagio.
I sintomi differiscono prima e dopo comparsa dell’ittero (vedi tabella). Nei bambini il sintomo più comune è la diarrea.
Fase pre-itterica | Fase itterica |
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Malessere fisico generale | Urine scure |
Stanchezza | Feci chiare |
Inappetenza | Prurito |
Nausea | |
Vomito | |
Febbre |
La diagnosi
Già dopo 1-2 settimane dal contagio, la presenza nel sangue di anticorpi IgM contro il virus HAV rappresenta il primo segno che può condurre alla diagnosi di epatite A , seguito poi dalla presenza delle particelle virali nelle feci, rilevabili verso la fine del periodo di incubazione.
La presenza di anticorpi IgG, invece, indica un’infezione pregressa e garantisce immunità.
Un altro componente ematico da monitorare è l’ALT (alanina transaminasi), enzima rilasciato da un fegato ormai danneggiato dal virus, i cui valori aumentano in fase di infezione acuta.
La cura
Ai pazienti generalmente si raccomandano riposo e consumo di acqua e di cibi sani, mentre si vieta l’assunzione di alcool.
In assenza di altre malattie, i pazienti guariscono tutti senza complicanze cliniche. L’età però incide molto sul decorso della malattia, che in alcuni casi può portare a morte per insufficienza epatica.
Prevenzione
Le principali misure di prevenzione da seguire per ridurre il rischio di contrarre l’epatite A sono il lavaggio delle mani e il lavaggio e la cottura accurata del cibo contaminato.
Per essere certi di eliminare il virus è necessario:
- bollire tutto a una temperatura superiore ai 60°, affinché i virioni vengano inattivati
- lavare gli alimenti utilizzando il cloro, al quale questo virus è sensibile.
La misura preventiva d’eccellenza resta comunque l’immunizzazione passiva o la vaccinazione. L’immunizzazione passiva con immunoglobuline, considerata una “terapia d’urto”, è raccomandata in caso di viaggi in Paesi tropicali o in caso di esposizione a persone contagiate. La copertura data dall’immunizzazione passiva è limitata, e dura dai 3 ai 6 mesi.
La vaccinazione, invece, prevede l’iniezione del virus attenuato o modificato, così che sia l’organismo stesso a produrre gli anticorpi in grado di combattere il virus. Il tempo necessario affinché gli anticorpi siano prodotti è di circa 4 settimane: solo da quel momento un individuo inizia a essere immune.
La copertura assicurata dal vaccino è di almeno 8 anni, ma, secondo diversi studi, può durare anche per tutta la vita. Per questo motivo il vaccino è consigliato a personale militare, sanitario e impiegato in asili nido e scuole materne, come anche a pazienti bisognosi di trasfusioni o con patologie epatiche croniche.