Pancreatite: le terapie possibili

A seconda che si tratti di pancreatite acuta o cronica, esistono diverse opzioni terapeutiche, farmacologiche e non.

Lo stato infiammatorio è una condizione comune alla maggior parte delle malattie, alcune più note e diffuse di altre. Tra queste, la pancreatite è sicuramente tra le meno conosciute.

Si tratta di una patologia a carico del pancreas che si distingue, a seconda dei sintomi e della sua durata, in acuta e cronica.

Pancreatite acuta

La pancreatite, nella sua forma acuta, è dovuta a un’infiammazione dall’insorgenza improvvisa che si manifesta generalmente con dolore addominale intenso associato molto spesso a nausea, vomito e febbre.

Nelle forme più lievi la sintomatologia si risolve in circa 7-15 giorni senza conseguenze rilevanti. Al contrario, nei casi più gravi, può portare a una cronicizzazione della patologia, oltre che a setticemia, insufficienza renale e/o respiratoria e shock.

Le cause sono molte: i fattori di rischio più rilevanti sono da ricercare nella presenza di calcoli biliari oltre che nell’abuso di alcol, nell’abitudine al fumo, in anomalie anatomiche o genetiche, nella presenza di tumori, nell’assunzione di determinati farmaci, nell’aumento dei trigliceridi nel sangue o in complicazioni di manovre chirurgiche. Il sesso maschile sembrerebbe inoltre mediamente più soggetto.

Pancreatite cronica

A differenza della forma acuta, quella cronica è una patologia irreversibile caratterizzata da un progressivo peggioramento dello stato infiammatorio e doloroso con perdita delle funzioni fisiologiche del pancreas.

L’abuso di alcol risulta essere il responsabile nel 40-60% dei casi, mentre il fumo sembrerebbe triplicarne il rischio rispetto ai non fumatori.

In questi anni è stato inoltre osservato che l’aumento di casi di pancreatite acuta si riflette in un incremento anche di quelli cronici. La progressione della malattia risulta infatti più frequente del previsto soprattutto in pazienti fumatori e che assumono alcol.

Le mutazioni genetiche rivestono invece un ruolo secondario, come anche le pancreatiti autoimmuni.

I trattamenti

Se si tratta di un episodio di pancreatite acuta, generalmente non è richiesto un intervento in sala operatoria. Nella maggior parte dei casi il trattamento prevede digiuno e somministrazione di liquidi ed elettroliti per via endovenosa.

In caso di necessità si interviene con farmaci anti-proteasi, che riducono l’attività degli enzimi digestivi del pancreas, e antibiotici. Nei casi più gravi invece si procede con il drenaggio degli ascessi, cioè accumuli di liquido infetto derivanti dalla rottura dell’organo stesso.

Anche nel caso di una forma di pancreatite cronica le procedure di intervento sono molte e dipendono dalla gravità. Nella fase iniziale solitamente si tratta il dolore, sintomo ricorrente e persistente, con antidolorifici classici (paracetamolo) per poi passare a narcotici di crescente intensità fino ad antidepressivi e farmaci neuromodulanti (pregabalin).

Nelle fasi più avanzate, cioè quando l’organo ha subito alterazioni morfologiche e funzionali, è spesso necessaria una terapia a base di enzimi pancreatici per ridurre gli effetti della ridotta funzionalità del pancreas, che si rifletterebbe in un’alterata digestione e quindi in un ridotto assorbimento di nutrienti.

Grazie a questo supplemento i pazienti registrano un miglioramento della qualità di vita e un minor rischio di sviluppare co-patologie legate alla malnutrizione, come osteoporosi o debolezza muscolare.

La terapia chirurgica rimane comunque la principale via d’intervento e le opzioni a disposizione sono diverse. La “chirurgia derivativa” mira a rimuovere l’ostruzione del dotto pancreatico attraverso drenaggi, quella “endoscopica” viene utilizzata per la rimozione dei calcoli o per il posizionamento di stent, mentre quella “demolitiva” prevede invece la rimozione di una parte dell’organo.

Recentemente ha inoltre preso piede, anche se ancora in fase di perfezionamento, la possibilità di autotrapianto di isole pancreatiche per ripristinare la produzione di insulina, evitando quindi l’insorgenza di diabete.

Nei casi in cui questa tecnica sperimentale non sia applicata, viene somministrata una terapia a base di insulina a dosi variabili.

Silvia Radrezza
Silvia Radrezza
Nata e cresciuta ai piedi dei colli euganei, inizia il suo percorso di studi frequentando il liceo classico, abbracciando così la cultura letteraria. Di carattere curioso e pronto alle sfide, tranne quelle sportive, il suo interesse viene subito catturato dalla ricerca scientifica prima attraverso la tesi sperimentale per la laurea in Farmacia conseguita presso l’Università di Ferrara e, successivamente, con un Master in Ricerca Clinica all’Università degli Studi di Milano. La sua esperienza di giovane ricercatrice continua all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS di Milano e prosegue tutt’ora con il percorso di dottorato in Scienze Farmaceutiche presso l’Università degli Studi di Milano. Accanto alla passione per la scienza coltiva anche l’amore per la lettura e la scrittura che la porta, nel luglio del 2017, a entrare a far parte del team di Clorofilla come freelance e a scrivere per SapereSalute.it. Golosa come pochi, nel tempo libero adora sperimentare nuove ricette preparando dolci che deliziano il palato di colleghi e amici, magari sulle note di un brano di musica classica.

Articoli correlati

Pubblicità

Gli articoli più letti

I servizi per te
Farmaci a domicilio
Prenota una visita