Sono tanti e costano cari, ma non tutti sono scientificamente validati. Ecco le analisi da evitare e i rischi che si corrono.
La pancia fa male, ci si sente gonfi e magari insorgono diarrea o vomito: sono alcuni dei sintomi più frequenti delle intolleranze alimentari, problemi che riguardano quasi otto milioni di italiani. A cui si aggiungono gli oltre due milioni di persone affette da una vera allergia a un alimento.
Fra gli abitanti del Bel Paese ci sono però almeno altri otto milioni di ipersensibili immaginari che attribuiscono al cibo problemi di salute, la cui causa è invece tutt'altra.
Spesso ci si convince che il nemico sia il cibo cadendo nella trappola tesa da chi propone test per intolleranze scientificamente inaffidabili.
Risposte semplici a problemi complessi
Il costo di questi inutili esami può ammontare anche a diverse centinaia di euro, ma gli esperti non hanno dubbi: sono soldi tutt'altro che ben spesi. Se è vero infatti che, in nove casi su dieci, forniscono una “risposta” al proprio problema, il rischio di non individuarne la vera causa è dietro l'angolo.
C'è, ad esempio, chi si convince di non riuscire a dimagrire per colpa di un'intolleranza, quando invece intolleranze e allergie non fanno ingrassare. Inoltre, convincendosi di soffrire di un'intolleranza, si può trascurare la possibilità che alla base dei propri disturbi ci sia un disturbo serio come la celiachia. Questo rischio può essere evitato rassegnandosi alla necessità di dover seguire un percorso diagnostico più impegnativo, ma dall'efficacia garantita dalla scienza.
Il percorso da seguire
Il primo passo da compiere è affidarsi a un allergologo o a un nutrizionista che, in base ai disturbi descritti, ed eventualmente alla compilazione di un diario alimentare, valuterà l'utilità di sottoporsi a test per allergie o intolleranze.
Una diagnosi corretta prevede inoltre una dieta di esclusione. L'alimento sospettato dovrà essere momentaneamente eliminato per poi reintrodurlo in una fase successiva. Se nel periodo di astensione i disturbi dovessero scomparire per ripresentarsi alla reintroduzione è probabile che si abbia davvero a che fare con una reazione avversa al cibo.
Nel caso in cui si sospetti un'allergia potranno poi essere prescritti test cutanei (il prick test) e dosaggi degli anticorpi specifici (le IgE). Eventuali test di provocazione orale – che prevedono la somministrazione di dosi crescenti dell'alimento, con il rischio di scatenare reazioni anche gravi – devono essere eseguiti solo sotto stretto controllo medico e in centri specializzati.
In altri casi l'esperto potrebbe ritenere opportuno sottoporre a test per le intolleranze scientificamente validati. Risultati alla mano sarà possibile identificare il responsabile del proprio problema o rassegnarsi al fatto che la causa dei propri disturbi è da cercare fuori dal piatto.
I test di cui diffidare
Per arginare i rischi associati al ricorso a test fasulli la Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (Siaaic) ha messo a punto un vademecum per orientarsi nel mondo delle reazioni avverse agli alimenti e, soprattutto, della loro diagnosi.
Il consiglio generale è di non affidarsi al fai-da-te, a esperti di dubbia qualifica o a test commerciali. Fra questi ultimi, gli esperti Siaaic ne indicano 6 da cui diffidare: il test del capello, il test su cellule del sangue, il test della forza, il Vega Test, la biorisonanza e il Pulse Test (o test del riflesso cardiaco auricolare).