Sclerosi laterale amiotrofica: cause, sintomi e terapie

È una malattia neurodegenerativa che imprigiona la mente in un corpo sempre più immobile.

La sclerosi laterale amiotrofica, nota semplicemente anche come SLA, rientra tra le malattie rare, cioè quelle che per definizione hanno una prevalenza (vale a dire il numero di persone che convivono con la malattia in una data popolazione e in un determinato momento) inferiore a 5 casi su 10.000.

Stando a quando riporta l'Aisla (Associazione italiana sclerosi laterale amiotrofica), infatti, la SLA ha una prevalenza di circa 10 casi ogni 100.000 abitanti. In Italia le stime attuali parlano di circa 6.000 malati.

Al momento mancano numeri più precisi, anche se è stato avviato il progetto per la realizzazione imminente del primo registro nazionale sulla SLA. Si ritiene, però, che mentre l'incidenza, cioè il numero di nuovi casi diagnosticati in un anno, rimane costante (ed è di circa 3 nuovi casi ogni 100.000 abitanti ogni anno), la prevalenza della malattia sia in aumento, soprattutto per il miglioramento dell’assistenza e della gestione dei malati.

Cos'è la SLA

La SLA è nota anche come morbo di Gehrig, dal nome del giocatore statunitense di baseball che ne fu colpito negli anni ’30, anche se negli ultimi anni sono stati sollevati dubbi sul fatto che lo sportivo fosse effettivamente affetto da SLA.

È una delle malattie neurodegenerative che colpisce il sistema nervoso centrale. A differenza della sclerosi multipla, con cui viene spesso erroneamente confusa, la SLA colpisce i motoneuroni (o neuroni di moto) ovvero le cellule nervose che attivano la contrazione e, quindi, i movimenti dei muscoli volontari: un primo motoneurone, a livello della corteccia cerebrale, conduce l’impulso a un secondo motoneurone, posto a livello del midollo spinale, che a sua volta genera un impulso elettrico che raggiunge la fibra muscolare.

Nella SLA sia il primo sia il secondo motoneurone vanno incontro a una degenerazione progressiva; questo comporta la progressiva paralisi della muscolatura volontaria, ovvero quella preposta al movimento, ma anche a funzioni vitali come la respirazione, la deglutizione, la masticazione e la fonazione.

Come si manifesta

La sclerosi laterale amiotrofica generalmente si manifesta dopo i 50 anni, più spesso attorno ai 60-65 anni.

Nella maggior parte dei casi i primi sintomi comprendono:

  • perdita di forza

  • debolezza muscolare e atrofia (riduzione della massa muscolare) in una parte circoscritta di braccia o gambe (per esempio può essere colpita una mano, con cui diventa faticoso aprire una serratura).

Possono manifestarsi anche crampi, fascicolazioni (scatti improvvisi di un muscolo) e rigidità muscolare.

Con la progressione della malattia, i sintomi si estendono ad altre parti del corpo, determinando una graduale perdita di mobilità, difficoltà nel parlare (disartria), nel deglutire (disfagia) e nel respirare (dispnea), fino a una disabilità pressoché totale, con un’aspettativa di vita ridotta a pochi anni (mediamente 3-5).

In alcuni casi i primi sintomi possono essere difficoltà ad articolare alcune parole, a deglutire e a muovere la bocca (si parla di SLA a esordio bulbare), e solo successivamente si aggiungono le manifestazioni già descritte a gambe e braccia.

La gravità della malattia e la sua velocità di progressione possono essere molto diverse da paziente a paziente. In ogni caso essa non compromette la funzionalità degli organi interni, né le funzioni sensoriali (vista, udito, olfatto, gusto, tatto) e sessuali; è inoltre molto raro che vengano compromessi i muscoli che controllano i movimenti degli occhi e gli sfinteri vescicali e intestinali. Anche le funzioni cognitive sono generalmente preservate: solo in pochi casi si può associare una lieve forma di demenza.

Entrano in gioco diversi fattori

Le cause della sclerosi laterale amiotrofica sono ancora sconosciute. Quello che si può affermare attualmente è che si tratta di una malattia multifattoriale, alla cui origine contribuiscono più fattori di rischio che interagiscono tra loro.

Solo in circa un 10% dei pazienti la SLA è di tipo familiare, mentre nella maggior parte dei casi si manifesta in forme sporadiche, cioè non interessa altri familiari del malato.

Si sta facendo molto, in termini di ricerca, per individuare con precisione le cause all’origine della malattia.
Per quanto riguarda i fattori ambientali, si studiano lo stile di vita e anche l’influsso di agenti inquinanti e tossici (come i pesticidi); al momento, però, non è stato ancora possibile trarre delle conclusioni definitive in merito.

Sul fronte della genetica, negli ultimi anni sono stati fatti molti passi avanti nell’individuazione di geni le cui mutazioni risultano in qualche modo coinvolte con lo sviluppo della malattia. Nel 1993 è stato individuato un primo gene, chiamato SOD1, che risulta mutato nel 20% delle forme familiari e nel 1% delle forme sporadiche. Negli anni successivi, la ricerca in campo genetico ha subito una forte accelerata e ha permesso di individuare altri geni (ormai oltre una ventina) la cui mutazione è implicata in alcune forme di SLA. Un esempio è il TARDBP, gene che ha la funzione di produrre una particolare proteina chiamata TDP-43: nel 2006 si è scoperto che questa proteina, accumulandosi all’interno dei motoneuroni, potrebbe partecipare al processo di intossicazione graduale della cellula, che porta alla sua degenerazione.

L’accumulo di proteine alterate nei motoneuroni è, infatti, uno dei possibili meccanismi all’origine della degenerazione di tali cellule, ma non è l’unico. Tra gli altri presi in considerazione ricordiamo:

  • l’alterazione dei sistemi antiossidanti, che esporrebbe i neuroni di moto allo stress ossidativo, cioè il danno dovuto ai radicali liberi
  • l’eccesso di glutammato, aminoacido usato come neurotrasmettitore dai neuroni per trasmettere i segnali, che può finire per intossicare la cellula nervosa
  • una carenza dei fattori di crescita, cioè delle sostanze necessarie per la crescita e la funzionalità dei motoneuroni
  • un difetto dei mitocondri, piccole strutture interne alle cellule necessarie per fornire ad esse energia.

Si ipotizza che possa entrare in gioco anche l’infiammazione delle cellule gliali del sistema nervoso, ma questa condizione potrebbe essere una conseguenza (e non una causa) della degenerazione del motoneurone.

La diagnosi di SLA

Nel nostro Paese, secondo le stime, la diagnosi di sclerosi laterale amiotrofica avviene in media con 12 mesi di ritardo. Questo dipende dall’assenza di un esame capace di dare un responso preciso e inequivocabile.

La ricerca in questo campo sta lavorando per identificare specifici marker della malattia, cioè sostanze la cui presenza nel sangue possa permettere una precisa diagnosi di SLA.

L’iter diagnostico, al momento, prevede un attento esame clinico da parte di un neurologo, associato ad alcuni esami per valutare lo stato del sistema nervoso, del cervello e del midollo spinale ed escludere altre malattie:

  • l’elettromiografia, che registra l’attività elettrica legata alla contrazione dei muscoli
  • la risonanza magnetica nucleare per visualizzare la struttura di cervello e midollo

In alcuni casi vengono effettuate anche una puntura lombare, per prelevare e analizzare il liquor contenuto nel canale midollare, e una biopsia di muscoli e/o nervi. Si ricorre inoltre a esami del sangue e delle urine per escludere eventuali altre malattie.

Ulteriori esami si rendono poi necessari in seconda battuta per confermare una prima diagnosi (in questo caso in genere si tende a ripetere l’elettromiografia) e per valutare l’evolvere stesso della malattia: periodicamente (in genere ogni 2-6 mesi circa) ci si deve sottoporre a una spirometria, per valutare l’efficienza della muscolatura respiratoria, e a esami del sangue che permettono di monitorare il trattamento con i farmaci. Possono essere prescritti infine esami per valutare la funzionalità respiratoria anche durante il sonno (emogasanalisi, ossimetria notturna).

Manca ancora una cura risolutiva

Non c’è al momento una cura che permetta di guarire dalla SLA. Sono in corso a livello internazionale molti studi e sperimentazioni cliniche (anche con cellule staminali), ma al momento sono solo due i farmaci approvati che hanno mostrato di poter rallentare di alcuni mesi l’avanzata della malattia.

Alcuni studi hanno dimostrato che la corretta gestione e assistenza del malato permettono di accrescere la sopravvivenza e di migliorare sensibilmente anche la qualità della vita, soprattutto se si monitorano alcune condizioni cercando di prevenire le complicanze, invece di attendere l’inesorabile peggioramento.

In particolare si è visto che intervenire precocemente contro l’insufficienza respiratoria (con respiratori per la ventilazione meccanica) e contro la scarsa alimentazione conseguente alle difficoltà di deglutizione e masticazione (ricorrendo all’inserimento di un sondino nello stomaco per la nutrizione artificiale) può rallentare sensibilmente il decorso della malattia.

Un malato di SLA dovrebbe, quindi, essere seguito in maniera globale da un’èquipe preparata e multidisciplinare (comprendente, per esempio, neurologo, pneumologo, fisiatra, nutrizionista e psicologo), sin dal momento della diagnosi. In Italia esistono alcuni centri medici specializzati per la presa in carico dei malati di SLA. È però importante che la persona possa essere seguita anche a casa o in una struttura preposta ed è fondamentale un sostegno, economico ma anche psicologico, ai familiari (a rischio, in alcuni casi, di depressione).

Importanti, infine, sono le tecnologie di ausilio alla comunicazione con l’esterno. Gli strumenti più all’avanguardia oggi permettono di comunicare utilizzando i computer con il semplice movimento degli occhi, riducendo quindi al minimo lo sforzo manuale. Questi ausili, ormai giudicati insostituibili, permettono ai malati di comunicare i propri bisogni, ma anche di mantenere relazioni sociali, con benefici enormi sulla qualità della vita.

Valeria Ghitti
Valeria Ghitti
Nata sulle sponde bresciane del lago d’Iseo con la passione per il giornalismo nelle vene, comincia, nell’estate del 2000, freschissima di diploma al liceo classico, a muovere i primi passi nella redazione di un service giornalistico milanese, e a collaborare così con testate nazionali femminili e di salute. Nello stesso periodo inizia il percorso universitario in Scienze della comunicazione a Trieste, che prosegue parallelamente al lavoro. Diventata giornalista pubblicista nel 2003, porta avanti collaborazioni con numerose testate della carta stampata, per lo più settimanali e mensili a tiratura nazionali, ma anche testate online e radiofoniche, occupandosi di salute (dall’alimentazione alla sessualità, dalla medicina al benessere, alla psicologia), divulgazione scientifica, bellezza, ambiente, stili di vita e gossip. Negli anni affianca all’attività giornalistica quelle di ufficio stampa (soprattutto nell’ambito turistico, della cultura e dello spettacolo), di correttrice di bozze, di ghostwriter e di web content editor e, più recentemente, quella di mamma. Freelance praticamente da sempre e ormai a un passo dalla laurea, dal 2016 può annoverare tra le sue collaborazioni anche quella con SapereSalute.it

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