In tutta Europa è ormai insostenibile l’impatto economico di infarto e ictus. L’Associazione per la lotta alla trombosi: «occorre investire in stili di vita e alimentazione».
C’è una vera e propria epidemia che si aggira per l’Europa: le malattie cardiovascolari. Ogni anno il Vecchio continente spende circa 196 miliardi di euro in cure per infarto, ictus cerebrale, embolia, trombosi venosa e arteriosa.
Oltre la metà di questa cifra (il 54%) è legata ai costi diretti, cioè i ricoveri in ospedale, gli esami e i farmaci. La differenza corrisponde ai costi indiretti, vale a dire la mancata produttività e le spese sostenute dalle famiglie per assistere i malati.
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Sono questi i dati allarmanti presentati dall’Associazione per la lotta alla trombosi, ALT onlus, nell’annuale conferenza sul tema. Secondo stime ALT, per ogni 10 punti percentuali in più dei casi di infarto e ictus in Italia, si assiste a un rallentamento della crescita economica valutabile intorno allo 0,5 per cento.
Investire in prevenzione diventa, oltre che utile ai cittadini, importante per le casse pubbliche. «Un investimento immediato si tradurrebbe in tempi rapidi in vite salvate, salute salvata, abbattimento dei costi per la società e per il singolo, miglioramento della produttività con impatto positivo sul PIL e sul risparmio delle famiglie» sottolineano i responsabili di ALT.
Fondamentale iniziare da piccoli. I bambini italiani sono spesso troppo pigri: secondo alcune recenti indagini soltanto il 12 per cento di loro fa attività fisica tutti i giorni. E in generale mangiano poca frutta e verdura, mentre abbondano grassi e dolci.
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