DOMANDA
Il mio bambino ha tre anni. Si fa capire bene, ma parla molto poco: rispetto ai suoi coetanei sembra avere un linguaggio molto ridotto. È una cosa normale o è meglio indagare più a fondo?
RISPOSTA DELL'ESPERTO
Risponde: Marina Battaglioli, Pediatra e neonatologa
Lo sviluppo del linguaggio è molto costante nelle sue caratteristiche (dalla lallazione all’acquisizione dei fonemi, alla strutturazione delle frasi), ma ha una grande variabilità individuale nella tempistica. Nel normale processo di apprendimento i bambini iniziano i primi vocalizzi a 6-10 mesi e dicono la loro prima chiara parola intorno al primo compleanno. Tra i 14 e i 24 mesi, la maggior parte dei bambini inizia a produrre semplici frasi di due parole (soggetto-verbo) e a 3 anni dovrebbe riuscire a comporre combinazioni di tre parole, mentre a 4 anni una chiara sintassi è parte del linguaggio della maggior parte dei bambini. Dopo i 4 anni la frase è interamente strutturata e il linguaggio si arricchisce nel vocabolario e nell’uso sempre più appropriato delle diverse forme grammaticali. Quando le tappe dello sviluppo della comunicazione sono molto discoste da queste è opportuno almeno un colloquio con il pediatra curante. Un ritardo nel parlare può essere sia un normale e transitorio stadio nello sviluppo del bambino (esistono i cosiddetti parlatori tardivi, che non hanno alcun tipo di alterazione organica), sia il sintomo iniziale di un problema psichiatrico, neurologico o comportamentale. I disturbi del linguaggio, infatti, hanno espressioni variabili e possono manifestarsi isolati o associati ad altri problemi: disturbi dell’udito, disturbi d'ansia, disturbi dell'umore, disturbo da deficit di attenzione-iperattività, disturbi dell'apprendimento, enuresi, ritiro sociale. La diagnosi tempestiva, la scelta del trattamento e l’approccio individualizzato al bambino diventano imperativi per prevenire successivi problemi psicologici o psichiatrici. Di solito sono le famiglie a segnalare il problema, a volte invece sono gli educatori della scuola dell’infanzia o della scuola primaria (spesso perché si associa un ritardo nell’apprendimento), che segnalano alla famiglia che qualcosa non va. In ogni caso, è poi compito del pediatra curante identificare i casi che meritano un approfondimento diagnostico. Fondamentale è infatti conoscere la storia completa della gravidanza e del parto, le prime tappe evolutive del bambino e la storia della famiglia, il quadro sociale in cui è inserito il piccolo. Questo è di grande aiuto nel distinguere i ritardi isolati della comunicazione, dai ritardi di linguaggio associati ad altre e più complesse patologie. Il ricorso a esami strumentali o radiologici andrebbe riservato a un tempo successivo, a casi selezionati e dopo una consulenza neuropsichiatrica.
Marina Battaglioli
Pediatra e neonatologa
Dirigente medico di 1° livello c/o Patologia Neonatale – Nido P.O. Buzzi.
Laureata in Medicina e Chirurgia a Milano nel 1990, opera fino al 1994 come studente interna prima e poi come specializzanda presso la Clinica De Marchi e la Clinica Mangiagalli dell’Università degli Studi di Milano dove consegue la specializzazione in Pediatria Generale nel 1994 e in Neonatologia nel 1996.
Tra il 1994 e il 1996 è titolare di una borsa di studio per il Trasporto Neonatale d’Emergenza presso il reparto di Patologia Neonatale della Clinica Mangiagalli, dove opera fino al 1998. Tra il 1998 e il 2000 presta la propria opera al Nido dell’Ospedale S.Giuseppe di Milano prima e poi alla Divisione di Pediatria e Patologia Neonatale dell’Ospedale “Valduce” di Como.
Dal 2000 assume l’incarico a tempo indeterminato presso il reparto di Patologia Neonatale e Nido dell’Ospedale Buzzi, attualmente è Dirigente medico di 1° livello.