Si tratta di un disturbo decisamente doloroso e spesso invalidante, anche per un lungo periodo di tempo.
La capsulite adesiva colpisce la capsula articolare, cioè la parte che avvolge l’articolazione della spalla, sostenendola. E il termine “spalla congelata”, che fra l’altro è la traduzione dall’inglese, non è stato coniato a caso. Per i pazienti, infatti, la sensazione è quella di non riuscire a eseguire movimenti, proprio come quando una parte del corpo è rigida per il troppo freddo.
I fattori di rischio non sono chiari, ma è certo, però, che i diabetici sono più soggetti a soffrire di questa patologia.
Un meccanismo lento
Quando si avverte il sintomo, il disturbo è presente già da tempo. Si instaura, infatti, uno stato di infiammazione nella capsula e nei legamenti e, per ragioni ancora non chiare, scatta un’esagerata attività di alcune cellule, i fibroblasti, che aumentano in modo smisurato.
Alla lunga questa eccessiva produzione provoca la comparsa di una fibrosi che avvolge la capsula articolare e la rende rigida. È a questo punto che il paziente avverte la rigidità: di solito è impossibile sollevare il braccio oltre la testa e, se si prova a toccarsi la scapola, scivolando col braccio dal basso verso l’alto, spesso non si arriva oltre i glutei.
«Questa situazione è destinata a risolversi», afferma Ettore Taverna, responsabile per la Chirurgia della spalla dell’Istituto ortopedico Galeazzi di Milano. «La capsula, infatti, tende a tornare normale. Il problema, però, è che si tratta di una fase che può durare anche qualche anno».
La parola d’ordine è: rassicurare
La capsulite adesiva non è una malattia grave. La terapia iniziale è la fisioterapia: per le prime settimane è necessario recarsi in un centro specializzato, in modo da imparare a eseguire gli esercizi nel modo più corretto anche da soli. Quindi, si continua a casa propria; se si è costanti e si seguono diligentemente le indicazioni, i movimenti possono migliorare già alla fine del primo mese di trattamento.
«Aiutano anche le infiltrazioni con cortisone», sottolinea lo specialista. «Sono efficaci nel contrastare lo stato infiammatorio, ma sono controindicate nel caso di diabete».
Attenzione anche agli sforzi; durante il trattamento, anche se sembra di stare meglio, bisogna evitare di portare pesi, di fare movimenti ripetitivi, come stirare o lavare i vetri, di eseguire movimenti bruschi, come lanciare un oggetto.
«Se il disturbo non migliora, o addirittura peggiora, è necessario intervenire chirurgicamente», conclude Ettore Taverna. «L’intervento è in artroscopia, è mininvasivo e consiste nell’esecuzione di alcuni microtagli nella zona ispessita, in modo da sbloccare la capsula articolare e far sì che possa riprendere i movimenti fisiologici. Certo, non subito: dopo l’intervento è necessario un ciclo di fisioterapia».