Partorire in acqua: quali sono i vantaggi?

È una pratica naturale che porta benefici alla mamma e al bambino. Ma per sceglierla è opportuno sentire il parere del proprio ginecologo.

Il momento del parto è spesso un’esperienza dolorosa e traumatica per una donna. Certo la sofferenza è ampiamente ripagata dalla gioia di stringere fra le braccia il proprio bimbo, ma non c’è ragione per non approfittare dell’opportunità di rendere l’esperienza meno dolorosa.

A questo proposito, è ampiamente praticata l’anestesia epidurale, procedura in grado di alleviare i dolori del parto senza grosse complicazioni.

Esiste però anche un metodo “naturale”, sempre più diffuso e riconosciuto da ostetrici e ginecologi: si tratta del parto in acqua.

Diversi studi sono concordi nel sostenere che l’immersione in acqua durante il parto ha un effetto rilassante, non solo psicologico, per la donna.

L’acqua aiuta anche a distendere i muscoli, e pare esserci un coinvolgimento anche a livello ormonale. I benefici non sono però limitati solo alla mamma: l’esperienza, secondo alcuni esperti, è meno traumatica anche per il bambino, che passa in modo più graduale dall’ambiente uterino a quello extrauterino.

Parto in acqua: ecco come funziona

Il tutto avviene in una vasca, alta circa 70 centimetri, piena d’acqua calda. La temperatura è mantenuta costante, fra i 36 e i 37 gradi centigradi: proprio il calore dell’acqua facilita il rilassamento muscolare, rendendo di conseguenza le contrazioni meno dolorose e la dilatazione più rapida.

L’acqua rimane pulita attraverso un costante ricambio, che garantisce durante tutto il processo l’igiene necessaria per la mamma e per il nascituro.

Di norma, l’immersione avviene a travaglio già iniziato, quando la dilatazione è di 3-4 centimetri. Le dimensioni della vasca sono tali da permettere alla donna di muoversi e posizionarsi come meglio crede, altro fattore che rende l’esperienza più serena e meno stressante per la madre.

Quando è possibile ricorrere al parto in acqua?

Non ci sono particolari controindicazioni nei confronti del parto in acqua, a patto che si tratti di una gravidanza regolare (vale a dire a basso rischio), non gemellare, a termine (fra le 37 e le 42 settimane di gestazione), e che la madre non soffra di malattie infettive in corso o non sia affetta da ipertensione arteriosa. Non vengono infine eseguiti parti acquatici con un feto in posizione podalica.

I timori più rilevanti legati al parto in acqua riguardano l’eventualità che aumentino le infezioni, o che possa essere dannoso per il nascituro.

Riguardo al primo aspetto, le ricerche non hanno evidenziato differenze dal punto di vista igienico-sanitario rispetto ai parti normali.

Quanto alla salute del bambino, nei primi istanti di vita la respirazione avviene ancora tramite il cordone ombelicale (che in questi casi, solitamente, viene tagliato in un secondo momento, quando smette di pulsare) e il neonato è perfettamente in grado di restare in apnea.

Perciò, al netto delle controindicazioni, secondo i suoi fautori l’esperienza del parto in acqua è meno dolorosa, più rilassante e meno traumatica per mamma e bambino.

I tempi del travaglio possono abbreviarsi e in taluni casi si può anche evitare l’episiotomia, la tipica incisione del perineo che viene eseguita per facilitare il parto.

A volte i papà possono entrare in vasca

Proprio come in un parto normale, il futuro papà può assistere al parto e in alcune strutture ospedaliere, se la partner lo desidera, persino entrare in acqua con lei.

L’esperienza, a detta degli esperti, è generalmente più rilassante e serena anche per il padre, il quale risente in maniera positiva di un parto dove la sofferenza e il dolore della partner non sono così predominanti.

Il cosiddetto “parto dolce” è una pratica diffusa in diversi centri ospedalieri, opportunamente attrezzati a riguardo.

Va ricordato che, a fronte dei numerosi benefici, la decisione di ricorrere al parto in acqua va concordata con il proprio ginecologo, proprio al fine di escludere eventuali controindicazioni o difficoltà che possono insorgere durante la fase del travaglio.

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