Dalla prima visita ai consulti successivi, il rapporto tra medico e paziente deve essere di completa fiducia, anche prima dei 18 anni.
L’American College of Obstetricians and Gynecologists raccomanda che, in assenza di patologie pregresse, una prima visita ginecologica venga effettuata tra i 13 e i 15 anni.
Di norma le ragazzine vanno dal ginecologo, accompagnate dalla mamma, in concomitanza con il menarca, cioè con la comparsa delle prime mestruazioni. In Italia, secondo i dati della Società italiana di pediatria preventiva e sociale, corrisponde in media a 12 anni e 4 mesi. Il primo rapporto sessuale, invece, si ha in media a 17 anni.
In teoria, ci sarebbero quindi circa 5 anni di tempo – una visita all’anno - per instaurare con il medico una relazione di conoscenza e di fiducia e per poter chiedere informazioni sui temi della sessualità e della contraccezione.
Il segreto è un dovere etico
In realtà, questa routine è poco perseguita e ancora oggi le ragazzine temono la visita: secondo un’indagine della Società italiana di pediatria e della Società italiana di medicina dell’adolescenza l’88% delle quattordicenni va dal medico con i genitori e, di queste, il 40% vive la situazione con imbarazzo, dovuto soprattutto alla mancanza di conoscenza sui propri diritti in tema di privacy.
Il segreto professionale vale anche per i minorenni? Le norme in merito dicono che se non ci sono motivi specifici legati alla salute della paziente, il medico ha la facoltà e il dovere etico di garantire l’assoluta riservatezza e di non rivelare quindi ai genitori e a nessun altro quanto espresso durante la visita.
Ciò vuol dire che ci si può far prescrivere un anticoncezionale o un contraccettivo d’emergenza (la cosiddetta pillola del giorno dopo) – che per le minorenni necessita di ricetta medica - senza che la mamma venga a saperlo.
Esiste infatti una norma che nega l’accesso ai dati personali e ai documenti amministrativi anche quando questi siano richiesti espressamente dai genitori di minorenni.
Non solo, i minorenni possono rivolgersi alle strutture sanitarie e ai consultori che, per legge, hanno il dovere di somministrare su prescrizione medica i mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile anche ai minori.
Il diritto alla privacy vale anche in caso di interruzione volontaria di gravidanza. In realtà, la legge 194/78, all’articolo 12, impone per le minorenni il consenso dei genitori o tutori ma, qualora non ci fosse, il consultorio familiare o il medico che rilascia il certificato di gravidanza in atto si devono rivolgere al Giudice tutelare entro 7 giorni. E il Giudice, entro 5 giorni dalla richiesta e ascoltate le motivazioni della minorenne, autorizzerà l’interruzione volontaria di gravidanza.
Il diritto alla privacy è quindi sostanzialmente previsto e garantito. Sarebbe però ovviamente auspicabile, anche da parte dei ginecologi, che tra genitori e figlie si instauri un dialogo aperto e sincero su tutti i temi che riguardano la sessualità.