Dormire bene e a sufficienza è importante per la nostra salute, ma sono sempre di più coloro che hanno problemi a godere di un adeguato riposo notturno.
Occupa circa un terzo della vita di ciascuno di noi ed è indispensabile per il nostro benessere: parliamo del sonno, un fenomeno dato spesso per scontato, anche se in realtà sono sempre di più coloro che non riescono, per i motivi più diversi, a dormire a sufficienza.
Secondo i dati diffusi durante l’ultima Giornata mondiale del sonno, infatti, più del 40% della popolazione mondiale soffre di disturbi durante il sonno. In Italia sono almeno 16 milioni le persone che non riposano bene e, tra queste, ben 4 milioni sono alle prese con un’insonnia cronica.
Insonnia: un disturbo dai mille volti
I disturbi del sonno sono vari: ci sono le ipersonnie, in cui si registra un’eccessiva sonnolenza, le alterazioni del ritmo sonno-veglia, le parasonnie (come il sonnambulismo), ma certamente il più noto e frequente è l’insonnia.
«Si parla di insonnia quando si vivono difficoltà ad addormentarsi e/o a mantenere il sonno tali da rendere il riposo notturno insoddisfacente per quantità e/o qualità, con ripercussioni negative durante la veglia» spiega Luigi Ferini Strambi, direttore del Centro disturbi del sonno dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano e presidente dell’Associazione Mondiale di Medicina del sonno.
Quest’ultimo punto è fondamentale: se, infatti, per svegliarsi riposati e al meglio per affrontare le attività di tutti i giorni, si ha bisogno di dormire mediamente 7-8 ore per notte in età adulta (di più, attorno alle 10 ore, da bambini) è pur vero che tale bisogno è estremamente soggettivo e ci sono individui cui bastano anche solo 4 ore per essere pronti e svegli e che perciò non possono essere definiti insonni.
Tra i sintomi dell’insonnia, quindi, occorre annoverare non solo le specifiche alterazioni del riposo notturno, ma anche stanchezza e sonnolenza durante il giorno.
Può capitare, occasionalmente, di passare una notte insonne, «ma per parlare di un vero e proprio disturbo da insonnia, secondo i criteri diagnostici, essa va sperimentata almeno tre volte a settimana per tre mesi consecutivi» aggiunge l’esperto.
Tradizionalmente si distinguono tre tipologie di insonnia:
- iniziale, quando è difficile prendere sonno;
- di mantenimento, in cui il riposo è frammentato da frequenti risvegli durante la notte;
- mattutina o finale, se associata a un risveglio molto precoce, senza riuscire più a riaddormentarsi.
«Ognuna di queste tre forme può dipendere da differenti cause, ma negli ultimi anni ci troviamo di fronte a fenomeni di insonnia sempre più “mista”, cioè forme che evolvono nel tempo nello stesso paziente, che può quindi passare da una forma iniziale a una di mantenimento o, ancora, a una finale. In genere questo avviene in conseguenza di un trattamento non perfettamente adeguato al singolo caso» rivela Ferini Strambi.
Non una sola causa
All’origine dell’insonnia ci possono essere molte cause, da stress e problemi emotivi a vere e proprie malattie, passando anche da cattive abitudini e da un ambiente di riposo non adeguato.
Alcune contribuiscono a rendere difficile addormentarsi, altre comportano micro-risvegli durante l’arco della notte, altre ancora determinano un risveglio anticipato.
All’origine di un’insonnia iniziale
Un problema di addormentamento può essere conseguenza di un disturbo d'ansia: chi ne soffre vive sensazioni di apprensione, preoccupazione o paura, che mettono in allarme e impediscono di abbandonarsi al sonno, vissuto come un momento di perdita del controllo.
«L’ansia è all’origine di circa il 25% dei casi di insonnia, anche se non si manifesta solo al momento di andare a letto, ma si riflette negativamente su tutta la giornata» ricorda Ferini Strambi.
Hanno lo stesso effetto anche condizioni protratte di stress e tensione: «Si vive in una costante sensazione di pericolo e il cervello, per tenere in allerta l’organismo, attiva una serie di reazioni a catena che portano al rilascio, tra gli altri, dell’ormone cortisolo, che favorisce lo stato di veglia» spiega l’esperto.
Attenzione: se è naturale che un evento inatteso, positivo o negativo (per esempio un lutto improvviso), ostacoli momentaneamente il riposo notturno, qualora il disturbo del sonno non si esaurisca con il superamento dell’evento stesso, può essere l’inizio di un’insonnia psicofisiologica: «Rappresenta circa il 15% dei casi di insonnia ed è frutto di auto-condizionamenti negativi: si comincia cioè a pensare di non riuscire a dormire, a temerne le conseguenze e così non si prende davvero più sonno» continua Ferini Strambi.
Anche la sindrome delle gambe senza riposo può rendere davvero difficile chiudere occhio: si tratta di una malattia del sistema nervoso caratterizzata da dolore, crampi notturni, formicolii, scatti involontari e, soprattutto, un desiderio irrefrenabile di muovere le gambe proprio quando ci si stende a letto (e muovendole il disturbo passa o comunque si attenua).
Infine, errate abitudini messe in atto durante la sera, prima di andare a letto, possono interferire con l’addormentamento, come dedicarsi ad attività sportive o attività mentali impegnative dopo cena, che eccitano l’organismo e stimolano i centri della veglia.
Sbagliato anche coricarsi davanti al computer o alla TV: «La luce emessa può inibire il rilascio di melatonina» spiega Ferini Strambi.
Fondamentale, inoltre, è il tipo di cibi e bevande che si consumano a cena. Da evitare prodotti che contengono sostanze nervine come caffè, tè, cioccolato, ginseng e alcune bevande zuccherate: «Oltre ad avere un effetto eccitante, sopprimono la produzione di serotonina e melatonina, sostanze fondamentali per un corretto ritmo sonno-veglia» chiarisce il medico. «Anche i pasti che contengono tanti grassi, tanto sale e tante proteine sono nemici del buon sonno, perché richiedono tempi più lunghi di digestione, che ostacolano quindi il riposo».
I principali fattori che spezzano il sonno
Numerosi risvegli durante il sonno possono essere dovuti a un mioclono notturno, disturbo spesso connesso alla sindrome delle gambe senza riposo, ma che tende a manifestarsi quando già si dorme, e che consiste in brevi scatti delle gambe ogni 30-40 secondi.
Anche un problema respiratorio, la sindrome delle apnee ostruttive, può causare microrisvegli: «A causa di un ridotto tono muscolare della faringe, le pareti di questa gradualmente collassano impedendo il passaggio dell’aria. Una delle prime conseguenze è il russamento, ma quando il passaggio si chiude completamente, anche se per pochi secondi, manca l’aria» chiarisce l’esperto. «Il sonno si fa quindi più leggero e si verificano microinterruzioni, il più delle volte inconsapevoli, ma che rendono impossibile raggiungere le fasi di sonno profondo, quello rigenerante, perché viene continuamente stimolata la produzione di adrenalina».
Un importante ruolo è giocato dal microclima della casa, o meglio della camera da letto: «La regolazione del ritmo sonno-veglia dipende dal nucleo soprachiasmatico, una sorta di orologio posto nel cervello, che svolge questa funzione mediante la variazione della temperatura corporea» spiega Ferini Strambi. Perciò, se fa troppo caldo o troppo freddo (ma anche se l’ambiente è troppo umido o troppo secco) ci si può svegliare più volte durante la notte. Lo stesso effetto può derivare da rumori esterni disturbanti.
Anche condizioni parafisiologiche, come una gravidanza o la menopausa, possono frammentare il riposo notturno, in conseguenza, per esempio, dell’ingombro del pancione o delle vampate notturne.
Che cosa causa insonnia mattutina
Soffrire di depressione espone spesso al rischio di non dormire bene: «La depressione è infatti all’origine del 20% dei casi di insonnia terminale, determinando risvegli precoci mattutini» conferma Ferini Strambi.
«É colpa della carenza della serotonina tipica di questo disturbo psichiatrico: questo neurotrasmettitore, infatti, regola le fasi del sonno profondo, ma se è presente nell’organismo in quantità insufficienti, fa sì che una persona si svegli dopo un breve periodo di sonno».
Effetti dell’insonnia sulla salute
La privazione di sonno porta rapidamente a sonnolenza diurna, irritabilità e umore depresso, ma a lungo termine può avere ulteriori e serie conseguenze su tutto l’organismo.
«Poiché durante il riposo notturno si consolidano la memoria e migliora il funzionamento delle nostre funzioni cognitive, sono queste le prime a risentire di un’insonnia, con cali di memoria e ridotto rendimento nelle attività quotidiane» dice lo specialista.
«Durante il sonno profondo, inoltre, l’organismo libera le citochine, i modulatori della risposta immunitaria nei confronti delle malattie. Se, quindi, manca o scarseggia, anche le difese immunitarie diventano deficitarie».
Ci sono sempre più conferme scientifiche del rapporto tra insonnia e rischio di obesità e diabete. «Sembra che dormire poche ore per notte favorisca alterazioni del metabolismo, dei processi ormonali e della regolazione dell’appetito, aumentando, per esempio, la produzione dell’ormone della fame, la grelina, e determinando alterazioni della concentrazione di zuccheri nel sangue, della secrezione dell’insulina e della sensibilità dell’organismo a questo stesso ormone» sottolinea Ferini Strambi.
C’è anche un legame tra insonnia e malattie cardiovascolari: «Diversi studi hanno evidenziato che un sonno insufficiente è associato a un’eccessiva secrezione di cortisolo e all’aumento della frequenza cardiaca» chiarisce il medico. «I microrisvegli dovuti ad apnee ostruttive, inoltre, aumentano il rischio cardiovascolare: dopo l’apnea, quando si riprende a respirare, il cuore comincia a battere più velocemente e anche la pressione si alza».
Infine, gli studi più recenti segnalano l’insonnia come un fattore di rischio per patologie neurodegenerative, per esempio l’Alzheimer: «Sembra che dormire poco cronicamente favorisca un aumento, nelle cellule nervose, dei depositi della proteina beta amiloide, coinvolta appunto in questa malattia neurodegenerativa» conferma lo specialista. «Inoltre le apnee ostruttive sembrano essere un fattore di rischio per tutti i tipi di demenza, in conseguenza dell’ipossia (carenza di ossigeno) intermittente cui espongono il cervello».
Serve una diagnosi precisa
Diagnosticare correttamente l’insonnia e le cause scatenanti è fondamentale per intraprendere una terapia adeguata. «Per questo il consiglio è quello di rivolgersi a un centro di medicina del sonno per una visita neurologica, in cui si raccolgono tutte le informazioni che possono indirizzare alla diagnosi» spiega Ferini Strambi.
«In alcuni casi può essere effettuata anche una polisonnografia, esame che prevede il monitoraggio, durante il sonno notturno, di diversi parametri (attività cerebrale, tono muscolare ecc.) per individuare qualsiasi potenziale anomalia».
Come si cura
La terapia dell’insonnia è strettamente connessa alla causa scatenante. Perciò, in presenza di una malattia specifica (per esempio sindrome delle gambe senza riposo o delle apnee ostruttive) si interverrà con soluzioni ad hoc che, attenuando o risolvendo completamente il disturbo, aiutano a risolvere anche il disturbo del sonno conseguente.
Di farmaci specifici contro l’insonnia ne esistono diverse tipologie. «Abbiamo la categoria degli ipnotici, cioè sostanze che inducono il sonno, potenziando in vario modo l’effetto del sistema gabaergico, neurotrasmettitore della tranquillità e del rilassamento. Si possono usare talvolta anche gli antidepressivi: alcuni di questi aumentano la quantità di sonno profondo» spiega Ferini Strambi.
In caso di insonnia vanno comunque preferiti in genere i farmaci ipnotici con breve emivita (ossia quelli che vengono metabolizzati rapidamente) per evitare effetti residui negativi al mattino sulle capacità di attenzione. «Oggi abbiamo a disposizione anche nuovi farmaci che non potenziano direttamente i centri del sonno, bensì contrastano l’attività dei centri della veglia» rivela Ferini Strambi.
Qualunque sia la terapia, non deve essere fai da te. «Lo specialista sceglie il tipo di farmaco, in genere prescrivendolo al più basso dosaggio efficace e per un periodo di tempo che ritiene sufficiente, al termine del quale lo sospende gradualmente, per evitare i fenomeni di “rimbalzo”, cioè la ricomparsa dell’insonnia per astinenza dalla sostanza, né fenomeni di dipendenza fisica o psichica» ricorda l’esperto.
«Il ricorso a rimedi naturali, come valeriana e simili, può essere utile solo in caso di sporadiche notti insonni, ma se non ha subito effetto, non va protratto oltre una settimana, per non rischiare di favorire l’instaurarsi di un problema cronico. L’uso della melatonina, invece, è indicato soprattutto nei casi in cui bisogna riequilibrare il ritmo sonno-veglia, per esempio in caso di jet-lag legato a un viaggio, oppure nei cosiddetti “gufi”, soggetti che tendono ad addormentarsi molto tardi» continua lo specialista.
«Infine, come alternativa ai farmaci, nei casi in cui entrano in gioco fattori psicologici, può essere utile una terapia cognitivo-comportamentale specifica contro l’insonnia: con due mesi (7-8 sedute) si ottiene il 75-80% di successi».